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Arrivano i nostri!

Ciao a tutti!!

Arrivano i nostriiiii!!!!! Ebbene sì, contiamo i giorni all’arrivo dei rinforzi a “Fort Namahaca”…. 20 giorni allo sbarco di 6 missionari freschi freschi, per rimpolpare l’equipe per troppo tempo rimasta a quota 3: Lucia, Emiliano e Padre Alessio. Sono in arrivo, in ordine strettamente alfabetico: Dionizia, suora brasileira; Ducilene, 2° suora brasileira; Francesca & Nicolò, sposi italiani (evviva i laici!); Giulia, suora italiana; Simone, padre italiano. Grande abbondanza di forze nuove per la vecchia e stanca equipe… no, scherziamo, noi siamo ancora tanto felici di essere qui, ma certo l’arrivo di una ventata di aria fresca aiuta a rinvigorire gli spiriti e anche i corpi!! Fra e Nico resteranno qui con noi solo per alcuni mesi, giusto il tempo di inserirsi un po’ nella nuova realtà e poi si trasferiranno a Memba, nella parrocchia vicina dove lavora don Silvano, per restare 3 anni.

In realtà, i magnifici 6 arrivano e ci lasciano subito… ma solo per un mese di corso di inculturazione, per conoscere un po’ della cultura makua e della storia del Mozambico. A partire da aprile saranno inseriti a pieno regime nei vari ambiti di attività… Qui il lavoro non manca! Continua a leggere »

Che acqua beviamo?

La Parola che ci richiama l’arrivo di un nuovo avvento, l’inizio di una nuova camminata nell’attesa della Venuta è “Vigilate!”, cioè state attenti, non dormite, perchè arriverà il momento in cui “di due che stanno lavorando nel campo, uno sarà preso e l’altro lasciato; di due donne che stanno macinando farina, una sarà presa e l’altra lasciata”. Sono parole forti, decise, dure, che non lasciano spazi a interpretazioni o sofismi.

“Uno preso, l’altro lasciato”. Sembra la stessa logica dura, implacabile, con cui ora un terribile virus “sceglie” le persone qui nel mato mozambicano: il colera. In una casa prende la moglie e lascia il marito, in un’altra prende la madre e lascia il figlio, in un’altra ancora di due fratellini uno lo prende, l’altro lo lascia. È quello cui stiamo assistendo noi in questo mese di novembre, mese di siccità, qui a Namahaca e dintorni. Il virus si rifà vivo e terribilmente virulento in questo periodo in cui di acqua ne è rimasta poca nei letti dei fiumi e nei pozzi scavati a mano pochi metri sotto terra. Le persone bevono di quell’acqua che dovrebbe dissetare e ne ricevono morte.

Come nella casa di mamã Fatima, nostra vicina di casa. Entrato silenziosamente, chissà magari proprio durante i giochi dei bimbi nell’acqua, là nella piccola diga del fiume Napupa, ormai poco più che una pozzanghera sporca, il colera si è preso il piccolo Mariano, un anno e mezzo, e ha lasciato Omiri, 3 anni, arrivato sull’orlo della morte e salvo per miracolo.

È una “logica” terribile, anche per noi che assistiamo protetti dalla nostra “barriera igienico-sanitaria”, ma per la gente è addirittura spaventosa. E così cominciano a girare varie dicerie nel povo e si comincia ad accusare gli infermieri, le ONG straniere, il governo di diffondere il virus lanciando fantomatiche pillole nelle acque di fiumi e pozzi naturali. Noi cerchiamo di spiegare che nessuno fa di queste cose, che gli infermieri (magari un po’ “pigri” nel loro lavoro) non vogliono fare loro del male, che ONG, governo, nessuno ha interesse a diffondere questo virus (anche perchè l’unica cura possibile è la flebo, nessun costoso medicinale – su cui fare eventuali speculazioni – salva dal colera). Ma la paura… la paura deve essere esorcizzata in qualche modo, si deve trovare un colpevole, un capro espiatorio che liberi dalle proprie responsabilità, che permetta di scaricare queste morti sulla coscienza di qualcun altro. Continua a leggere »

Video Saluto 2011

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Vocacionados Namahaca

Vocacionados Memba

Un’altra voce…

Ciao carissimi! Eccoci qua!

Speriamo di trovarvi in salute e che le vostre attività continuino serenamente giorno dopo giorno.

Per quel che ci riguarda, noi stiamo bene. In questi giorni festeggiamo il nostro primo annivesario dall’arrivo a Namahaca. Se da un lato sembra ieri che siamo partiti e ricordiamo ancora con commozione saluti e abbracci di addio, dall’altro ci rendiamo conto di quante cose sono successe in questi mesi, quante piccole e grandi gioie provate, quante piccole e grandi difficoltà superate e ci sentiamo già un po’ più “esperti”… cioè sempre più incapaci di dire qualcosa di certo su ciò che vediamo, sentiamo, sperimentiamo!

E questi stessi sentimenti abbiamo ritrovato in una lettera che ci ha inviato un’amica missionaria in Etiopia. Ci sembra che descriva esattamente quello che passa per la nostra mente e per il nostro cuore al riflettere sulla realtà che stiamo vivendo e così abbiamo pensato di girarvela così come ci è arrivata, senza modificarne una parola. Siamo certi che lei non se ne avrà a male perchè è un dono che lei ha fatto a noi con gratuità e semplicità e con lo stesso animo noi lo facciamo a voi!

 

 

“Eccomi qui dopo 1 anno e mezzo a Gighessa… Più sto qui più mi accorgo di come mi riesca difficile mantenere i contatti con voi… non tanto per la mancanza di tempo, come potrebbe credere qualcuno, nemmeno per la mancanza di argomenti (qualcosa succede sempre), ma più per l’inadeguatezza delle parole che ti costringe a cadere sempre sul banale, alimentando l’idea mitica che si ha della missione, oppure ti porta ad esagerare in modo pessimistico dando una visione distorta della realtà. Raccontare della missione costringe chi la vive a fare una scelta… mi limito a dire quello che la gente vuol sentire e da sempre si sente raccontare oppure scrivo quello che realmente accade con il rischio però che pochi riusciranno davvero a capire fino in fondo!!!
Gli ospiti e chi sente parlare della missione è colto da un entusiasmo che è sano e normale per coloro che hanno fatto questo tipo di esperienza… ma è davvero giusto che l’immagine della missione sia data da racconti del tipo… “i bambini ridono tutti” oppure “in africa sono tutti sporchi e vivono nelle capanne” “senza di noi (bianchi) chissà come sarebbero indietro” ” là non lavora nessuno” continuo ad interrogarmi su queste cose, continuo a chiedermi se è giusto che la gente vada avanti a credere questo della missione o se sia meglio iniziare a far passare un altro tipo di messaggio. Dietro ad ognuna di queste affermazioni e di mille altri luoghi comuni esistono un mare di spiegazioni e di confutazioni e neanche un missionario che vivesse qui l’intera vita riuscirebbe a capirle o a scoprirle tutte. Spesso da una parte all’altra della nostra nazione non riusciamo a capire gli atteggiamenti che ci differenziano, spesso da una parte all’altra della nostra città o dall’altra parte del muro di casa con il nostro vicino non riusciamo a capirci… pensate quindi che sia possibile liquidare con 4 luoghi comuni un popolo che per storia cultura e tradizione è lontano anni luce da noi???
Scusate la filippica, queste cose sono parecchio che mi girano in testa e poi fra qualche mese probabilmente tornerò a casa per una pausa e sono sicura che mille persone mi chiederanno, mi faranno domande sulla missione e quindi il dilemma si fa ancora più pressante… cosa vado a raccontare???
Se raccontassi che anche qui i bambini litigano, piangono, fanno i capricci… che anche qui il problema dell’alcolismo esiste anche tra persone che non diresti, se dicessi che tanti non han voglia di lavorare e ai pochi che l’avevano sta passando ma molti giovani hanno una gran voglia di studiare, se parlassi di tutti quelli che rubano, che chiedono incessantemente solo perchè sono abituati a pensare che la missione e i missionari sono ricchi e che quindi sono legittimati a farlo… certo voi capireste e accettereste tutto questo perchè sono io a dirvelo ma quello che ci sta dietro??? Anche ora mentre rileggo quello che ho scritto mi accorgo della pochezza e dell’inadeguatezza dei concetti. Ogni luogo, ogni missione ha una sua storia che è indelebilmente segnata dalle persone che ci vivono e da quelle che ci passano anche per un breve periodo, questo costruisce l’idea che di missione si ha in Italia e questo forgia l’idea che gli etiopi si fanno degli stranieri. Ogni nostra azione, ogni nostra affermazione, sia che siamo qui per lungo tempo, sia che veniamo per un breve periodo, ha delle ripercussioni sia in Italia che qui in missione anche se noi non ce ne accorgiamo.
Spesso si sceglie la strada più semplice in quello che si fa, senza valutare le reali conseguenze della nostra azione e senza pensare a quale sia la modalità migliore per affrontare una determinata situazione “…il bambino è nudo diamogli dei bei vestiti portati dall’Italia” dietro questa semplice azione che considerazioni si celano??? tu genitore non sei in grado di comprare dei vestiti a tuo figlio; i vestiti italiani sono meglio dei vestiti etiopi, io posso darti tutto quello di cui hai bisogno basta che chiedi… questo poi a cosa porta… loro continuano a chiedere, se uno si azzarda a non dare una volta viene etichettato come cattivo in confronto alla persona che invece ha dato, chi glielo fa fare di comprare vestiti periodicamente se c’è qualcuno che glieli dà… ecc.
Immaginate tutto questo a lungo termine, su larga scala e riguardante anche cose più importanti dei vestiti… immaginate appunto che conseguenze può avere… Quelle comunque che si vedono tutti i giorni… la credenza diffusa in occidente di considerarci un po’ i salvatori del mondo e l’abitudine che si vede un po’ qui (non so in altre parti dell’Africa) di continuare a chiedere e di appoggiarsi in modo pericoloso al “soldo” straniero. Ribadisco che ogni situazione è completamente diversa da un’altra quindi le mie considerazioni sono strettamente legate al luogo ed al tempo in cui sto vivendo, non mi permetterei mai di cadere nella trappola della generalizzazione, questo significa che ciò che è dannoso qui non è detto lo sia anche da un’altra parte.
Chiedo perdono se alcune o tutte queste cose le avevate già sentite soprattutto a qualcuno con cui ne avevo già discusso, certo non è la solita mail di racconti di vita missionaria ma avevo voglia di condividere con voi questi pensieri e sarei anche felice se mi scriveste le vostre opinioni!!!” (Elisa Mantova)

 

 

Ecco, non abbiamo una sola parola da togliere o da aggiungere. Grazie Elisa! Hai messo in parole i nostri pensieri e noi non avremmo saputo farlo meglio!

Spesso si sceglie la strada più semplice in quello che si fa, senza valutare le reali conseguenze della nostra azione e senza pensare a quale sia la modalità migliore per affrontare una determinata situazione”… Tutto questo per dire che la realtà è complessa. È sempre più complessa delle nostre facili semplificazioni. Che Dio ci guardi dalle semplificazioni!

Con questo pensiero e questo augurio vi mandiamo un grande abbraccio!!

Estamos juntos!!

Lu & Emi

Un saluto rilassato…

Un freddo africano…

Queridos!! Un grande abbraccio.. questa volta un po’ infreddolito! Eh sì, pare incredibile ma l’inverno è arrivato anche qui! Alla sera e alla mattina ora ci vuole una bella felpina per ripararsi dal fresco… ben inteso, niente di paragonabile al nostro inverno, ma la differenza rispetto al gran caldo di dicembre e gennaio noi la sentiamo bene! Quasi quasi ora passiamo intere giornate senza versare neanche una goccia di sudore… una meraviglia!

Vi ringraziamo TANTO per tutte le lettere, contributi, video, film, musica che ci avete inviato con i nostri genitori… non avete idea di quanto sia prezioso ricevere qui un pensiero da lassù! Una lettera… lasciarla qualche giorno lì sul comodino, assaporando il momento in cui si potrà aprirla, cercare di indovinare chi l’ha scritta a giudicare dai caratteri della busta e poi finalmente aprire e gettarsi a capofitto tra le righe magari scritte a penna… sapere come state, magari vedervi in una foto recente o in un video girato in casa, accompagnarvi nelle piccole e grandi gioie e fatiche di ogni giorno, commuoversi ricevendo notizie che mai avremmo pensato di ricevere… è rimanere vicini nonostante le distanze e sapere che siamo nei vostri pensieri anche se non nei vostri occhi (e chi l’ha detto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”??).

Noi stiamo bene. Qui a Namahaca ci sentiamo a casa!

Le attività procedono intensamente, anche troppo… non abbiamo un granché di tempo libero e i weekend sono giornate di lavoro come e a volte più del resto della settimana!

Per le ragazze del lar siamo arrivati alla fine del secondo trimestre e così per mamà Lucia e papà Emiliano ci sono due settimane di respiro (finalmente!). Le nostre figlie sono davvero brave (come comportamento, scolasticamente lasciamo perdere..!) e una allegra e chiassosa compagnia, ma… sono 25, sono adolescenti e, quando sono qui al lar, sono sempre a casa nostra per i motivi più diversi (manca l’olio, si è rotta la pila, non troviamo più il mestolo, ho mal di testa, mi son tagliata il dito, non riusciamo a fare l’esercizio di matematica, aiuto per l’inglese e avanti…) e così è un continuo viavai di… dà licença mamàdà licença papàdà licença mamàdà licença papà…!! Ma sinceramente sono due giorni che sono uscite e già un pochino ci mancano!

Per il resto, Emiliano è molto occupato in questo periodo dalla raccolta e immagazzinamento dei prodotti che le 70 comunità inviano qui a Namahaca… si tratta dei prodotti (mais, fagioli, arachidi) che servono per i pasti dei vari responsabili di comunità nei giorni di formazione. Qui la pastorale è completamente affidata ai laici, visto che il prete, padre Alessio, può visitare e fare la messa in una comunità al massimo 1 o 2 volte l’anno. E così ogni comunità ha un responsabile, l’”ancião”, che celebra ogni domenica la liturgia della parola, poi ci sono gli altri ministeri: una coppia responsabile delle famiglie, i catechisti per i giovani e per gli adulti, il ministro dell’eucarestia, il ministro di giustizia e pace, il ministro della salute, la responsabile delle donne,… questi ministeri sono presenti in (quasi) tutte le comunità e gestiscono la pastorale a livello locale. Qui a livello “centrale” a Namahaca gestiamo la formazione per tutte queste persone: si tratta di 2 o 3 giorni di formazione per ogni ministero ogni 3 mesi circa, quindi praticamente abbiamo incontri di formazione da preparare e gestire ogni settimana. E così in questo periodo Emiliano riceve ogni giorno sacchi di prodotti da essicare e “stoccare” nel magazzino della parrocchia.

Quanto agli altri lavori di ristrutturazione e sistemazione, in questo periodo si sono un po’ bloccati per accogliere l’attesissima visita dei nostri genitori, del direttore del centro missionario e poi del Vescovo di Verona, del segretario e dello Zio don Roberto! 10 persone venute a trovarci per “matar saudade”, vincere la nostalgia di casa, e per riempirci di tante cose buone… grana, salame, monte veronese, cioccolata (beh, questa soprattutto per Lucia)… provate voi a fare a meno del grana per qualche mese e poi ci direte quello che si prova al riaprirlo e grattuggiarlo religiosamente sopra una sontuosa pasta (sontuosa e soprattutto PASTA per il grana grattuggiato sopra… senza grana che pasta è??).

Non riusciamo a descrivere la gioia e l’emozione provata nel riabbracciare i nostri genitori dopo tanti mesi! Bellissimo è stato condividere con loro la nostra vita qui, far conoscere i nostri amici, viaggiare sulle stesse strade, mostrare i luoghi tante volte citati e descritti per telefono e solo immaginati. Adesso è bello sapere che loro sanno, hanno visto, ci sono stati… è un po’ come se voi tutti foste stati qui e così la nostra nuova terra non è più solo una cosa nostra, ma è cosa “di famiglia”!

Perciò grazie ai nostri genitori e a tutte le visite che sono arrivate fin qui, anche per il coraggio nell’affrontare questo viaggio… i soli viaggi di andata e ritorno sono durati 2 giorni ciascuno e poi ci sono da considerare le vaccinazioni e la profilassi anti-malarica, cominciata prima della partenza e terminata dopo il rientro, le “originali” strade del Mozambico e le rispettive buche (fortunatamente senz’acqua in questo periodo!), il salto così veloce in un ambiente moooolto diverso dal punto di vista naturale, “architettonico” e culturale… quindi parabéns ai coraggiosi viaggiatori! Bravi anche perché hanno saputo avvicinarsi a questa realtà con rispetto, sana curiosità e in maniera delicata, attenta e aperta alle persone (ai bambini soprattutto!), cercando di mettersi in discussione su alcuni pregiudizi comuni e radicati in tutti noi del “ primo mondo”.

Per noi, a parte la grande gioia e qualche lacrima versata alla ripartenza, la visita è stata preceduta, accompagnata e seguita da una bella malaria ciascuno… Lucia ha aperto le danze il giorno prima dell’arrivo dei genitori (così si è persa il benvenuto all’aereoporto!), Emiliano ha continuato a metà del soggiorno (così i genitori hanno visto che si può sopravvivere alla malaria!) e Padre Alessio ha concluso un paio di giorni dopo la ripartenza del gruppo (lui che ne sembrava immune, visto che era quasi un anno che non la prendeva). Evidentemente il carico emotivo e di lavoro ha aperto la strada al plasmodio che approfitta proprio dei momenti di stanchezza e di stress per infilarsi tra i globuli rossi e proliferare!

Fortunatamente per tutti e tre la cosa si è risolta nel giro di due-tre giorni, caratterizzati da febbre molto alta, dolori agli arti, stanchezza, mancanza di appetito… i sintomi tipici di una influenza da noi. Curata debitamente e per tempo, accompagnata da una dieta leggera ma sostanziosa e da assoluto riposo, la malaria si può curare bene.

Ogni volta che la passiamo e recuperiamo, però, ci viene da pensare a tutte le persone che non hanno la possibilità di ricevere queste cure e l’alimentazione adeguata, che non riescono ad arrivare qui al centro di salute di Namahaca, fare il test, ricevere paracetamolo per la febbre e Coartem (il medicinale che oggi è prima linea nella cura della malaria, seguito da Fansidar, come seconda, e il terribile chinino, come terza linea, in caso di malaria resistente). E sono davvero tanti quelli che non arrivano qui… tanti bambini, tante donne incinte, tanti anziani, tanti malati di AIDS o tubercolosi… per questi spesso, troppo spesso, una “semplice” malaria può significare la morte, se sono donne incinte, può significare aborto. Questa della malaria è una terribile realtà dell’Africa, sono centinaia ogni giorno i casi registrati qui al centro di salute, gli infermieri ci confermano che è la malattia in assoluto più frequente, seguita da polmonite (può sembrare strano, ma qui il “freschetto” di cui vi parlavamo prima, in questo periodo miete molte vittime…), diarrea, AIDS e tubercolosi. Diciamo che la malaria è per molti il “colpo di grazia”… per fisici debilitati da altre malattie croniche o da malnutrizione l’arrivo di questo “schiaffo” alla salute è spesso fatale. Qui non è che “si muore di fame”, si muore sempre per altre cause, ma è chiaro che un fisico ben nutrito, che riceve giornalmente apporti adeguati di vitamine e proteine (grassi comunque sempre pochi), resiste meglio e, curato con i medicinali appositi, quasi sempre riesce a respingere l’attacco del plasmodio della malaria o di altri virus o batteri di vario genere. Altrimenti…

Quella dei medicinali è un’altra questione complicata… qui gli anti-malarici ci sono e sono distribuiti gratuitamente, ma spesso le scorte al centro di salute scarseggiano… poi magari quei medicinali li trovi alla “feira”, al mercato (alcuni infermieri “arrontondano” i loro stipendi vendendoli ai commercianti) e così quando servono, soprattutto nel picco della malaria nei mesi di febbraio e marzo, capita spesso che il Coartem non si trova… e così aumentano i casi di malaria resistente. Se poi i medicinali li compri al mercato, non sai usarli correttamente e li prendi male…  e così aumentano i casi di malaria resistente. Poi spesso manca una educazione sanitaria minima, per cui dopo il primo giorno di trattamento (sono tre in tutto) cominci a star meglio e spesso abbandoni la cura… e così aumentano i casi di malaria resistente. È in questo modo che giorno dopo giorno la malaria diventa più forte e “cattiva” e chi ne paga le conseguenze, come sempre, sono i più poveri.

Ci tenevamo a raccontarvi un po’ di questa malattia, perché lassù da noi c’è tanta mala informazione, si fa dell’inutile terrorismo per certi aspetti e non si guarda il problema nella sua oggettività e nella concretezza per altri. Certo è che il giorno in cui arriverà il vaccino della malaria, la vita qui per molti sarà almeno un po’ più facile.

Bene, ecco il nostro “solito” papiro che ha sempre uno e un solo scopo… tenervi vicini e rendervi il più possibile partecipi di ciò che viviamo, sentiamo, elaboriamo interiormente. Spesso ci sentiamo ancora come dei bambini che ogni giorno vivono esperienze nuove e fanno delle scoperte incredibili! Ma è anche vero che pian piano aumenta la sicurezza e la “confiança” nel girare tra la gente, nello spostarsi per le strade e nel mato, nel muoversi in villaggi e in città. E così rinnoviamo giorno dopo giorno il nostro “ci siamo e ci stiamo”!

Il nostro pensiero vola da ciascuno di voi, immaginando ogni volto sorride e si rallegra!

Vi abbracciamo.

Lucia e Emiliano

Carissimi! Ben ritrovati! Dopo lunga assenza dalla rete ci rifacciamo vivi su questi canali… vi assicuriamo che non è mancanza di volontà la nostra, tutt’altro! Anzi, ci piacerebbe leggere con più frequenza le mail che ci inviate: abbiamo ricevuto tanti sms “eh, vi ho mandato una mail qualche tempo fa, l’avete ricevuta?” o “perché non rispondete alla mia mail?”… vi ringraziamo degli invii e ci scusiamo ora ufficialmente, tentando di spiegare la nostra situazione: come sapete, i nostri viaggi in città (e agli internet point) sono abbastanza rari, ora dopo l’uscita delle suore dalla missione si sono rarefatti ancor di più, vista la necessità di accompagnamento 24 h su 24 delle ragazze del lar. In questo ultimo mese si è aggiunta anche una novità: una nave entrando nel porto di Inhambane, nel centro del Mozambico, ha tranciato i cavi della fibra ottica di Mcel, la principale (di 2…!) compagnia di comunicazione del paese (e anche la più diffusa… quella che arriva anche qui nel mato per intenderci!!). Risultato: la rete saltata in tutto il Mozambico, cellulari a singhiozzo, sportelli bancomat chiusi, banche con attività ridotte al minimo, professori che non ricevono il salario e fanno lo sciopero bianco (beh, quello è normale, in realtà…!). Insomma, il paese intero nella confusione più totale! Ora pare che siano stati ripristinati i collegamenti e contiamo che vi arrivi questa mail con i nostri saluti più affettuosi e il nostro forte abbraccio!

È curioso come un incidente tutto sommato modesto possa trasformare in un momento la vita di un intero paese … questo ci fa ricordare, più in piccolo, quanto abbiamo sperimentato sulla nostra pelle qualche tempo fa. Ecco i fatti.

Una mattina vengono a chiamarci dal centro di salute qui di Namahaca per una urgenza: una ragazza di 16 anni, Fatima, sta per partorire, ma il bimbo è trasversale e c’è bisogno di un cesareo. L’ambulanza di Namahaca è (come sempre) in riparazione e l’ambulanza più vicina, quella di Memba, si trova attualmente a Nampula a fare scorta di antimalarici. Serve la nostra macchina per trasportare la ragazza all’ospedale di Nacala, ad un’ora e mezzo di pista da qui, dove si trova l’unico chirurgo della zona in grado di operare. Così partiamo. Fatima, la ragazza, è seduta tra l’infermiera e la cognata, con la flebo al braccio. Noi siamo davanti. La pioggia dei giorni scorsi ha fatto cadere un ponte a metà del cammino, così dobbiamo prendere un’altra strada, molto più lunga e molto più brutta della solita, piena di buche, enormi pozzanghere e pericolo di interrare, ma è l’unica che porta a Nacala. Ad ogni buca Fatima geme e a volte urla dal dolore. Si cerca di procedere lentamente e con cautela, ma questo significa metterci molto tempo. Il dubbio è: andare più lentamente e sobbalzare un po’ meno o accelerare un po’ e sentire le urla di Fatima. Arriviamo a Nacala dopo 2 ore e mezza, Fatima viene preparata subito per l’operazione. Speriamo bene.

Noi ripartiamo subito sapendo che è meglio non viaggiare la notte con le strade in quelle condizioni. Dopo circa mezz’ora troviamo un camion interrato. Occupa l’intera larghezza della strada e non si passa, bisogna aspettare che gli uomini riempiano la buca formata dalla ruota che slittava nel fango, con terra, rami e frasche, perché possa ripartire. Il camion è stracarico di tronchi di ebano (certamente di contrabbando) e soprattutto stravecchio, senza parabrezza, tutto arrugginito, con un motore ad urlare di dolore ed un omino a versare acqua sul radiatore ogni 5 minuti per raffreddarlo… una scena da film! Comunque, dopo circa 30 minuti riesce a ripartire e anche noi riprendiamo il cammino.  Dopo neanche un’altra mezz’ora troviamo a lato della strada la macchina di Padre Ottavio,  un padre missionario italiano,  che ha forato. Tirando fuori la ruota di scorta,  si è accorto che anche quella era forata e così si è fermato,  in attesa di aiuto. Ci fermiamo e montiamo la nostra ruota di scorta sulla sua auto. Ripartiamo entrambi. Ancora un tratto di strada e troviamo un cajueiro spezzato ad ostruire la strada. Lucia si arrampica tipo Tarzan per spezzare il ramo. Per fortuna intervengono alcuni uomini ad aiutarla e liberano il cammino. Finalmente riusciamo ad arrivare a Namahaca. È notte fonda. Ci infiliamo in casa chiudendoci la porta dietro le spalle e ringraziando Dio di essere arrivati interi e… in casa troviamo un bel serpentello ad attenderci in corridoio! È uno di quelli piccoli neri,  entrato chissà come in casa,  soprannominato dalla gente di qui “não vale a pena”,  nel senso che se ti morde non vale la pena correre all’ospedale perché non lo raggiungeresti vivo. Lucia prende un martello e presa da ira divina lo ammazza,  poi lo carica sul badile e lo porta fuori per seppellirlo. È l’epilogo di questa lunga lunga giornata. [per la cronaca: pochi giorni dopo l’accaduto abbiamo montato una seconda porta,  di rete,  all’ingresso della nostra casa… così, anche quando rimane aperta quella di legno non possono entrare ospiti indesiderati!!]

Continuiamo il racconto. L’indomani si presenta un altro caso urgente al centro di salute,  ci chiedono un altro viaggio a Nacala. L’ambulanza è sempre in riparazione e la strada è sempre quella pessima del giorno prima. Ma la ragazza, 15 anni stavolta, non può aspettare: un altro parto difficile che ha bisogno di cesareo. Parte Emiliano da solo con l’infermiera. A mezzogiorno Emiliano è già di ritorno: è troppo presto per essere già andato e tornato, perciò deve essere successo quello che non doveva succedere… forare un pneumatico! Considerato che la ruota di scorta della nostra macchina si trovava a Memba con Padre Ottavio, Emiliano aveva portato un’altra ruota di scorta che pareva essere dello stesso modello… al montarla sulla macchina scopre che non entra. Così lascia la macchina, con la partoriente e l’infermiera, lungo la strada (dove viene arrangiato un piccolo ospedale da campo con capulane distese per terra e flebo appesa ad un palo infilato nel terreno..) , chiede un passaggio in bicicletta fino al più vicino posto amministrativo (della serie in due in bici in mezzo al fango, e che bici..!!). Lì chiede un passaggio in moto fino a Namahaca. Tornato a casa trova Don Silvano e per fortuna anche le suore che mettono a disposizione la loro auto (con pneumatici a posto); quindi, Silvano va a prendere la partoriente per portarla a Nacala e lui prende la moto della missione e va a Memba a recuperare la nostra ruota di scorta, da là parte per raggiungere la macchina rimasta lungo la strada, cambia il pneumatico forato e torna a casa. In tutto ciò: un giorno intero fuori casa, 4 persone coinvolte, 3 auto, 2 moto, 1 bici.

Visto che l’esperienza insegna, da tutto ciò abbiamo tratto alcuni spunti utili per il nostro futuro africano: primo, ci sono troppe variabili da controllare e quindi semplicemente non si riesce a controllarle tutte (è bene saperlo); secondo, è inutile cercare di tenere tutto sotto controllo, le cose che non vanno come vorresti sono troppe… se ti arrabbi ogni volta rischi esaurimento e dolori al fegato; terzo, meglio cercare di restare calmi e accettare che non tutto è nelle nostre mani e magari, se si riesce, farci anche una bella risata sopra (questo non sempre si può e non sempre si riesce a fare); quarto, osservare quello che accade, prendere un problema alla volta e cercare di trovare una soluzione per quello senza perdere la calma (agli altri problemi ci si pensa dopo)… “stranamente” qualcuno che ti aiuta e che ti viene incontro comunque lo trovi sempre, qui i buoni samaritani esistono ancora; quinto, affidare la nostra vita a Colui che tutto sa e tutto può, come ogni africano sa fare ogni giorno per quell’innato senso del sacro che lo caratterizza.

Un’ultima cosa da registrare: abbiamo saputo in seguito che Fatima ha avuto due gemelli… nessuno dei due ce l’ha fatta a sopravvivere. La ragazza accompagnata da Silvano il secondo giorno ha perso anche lei il suo bambino.

Da questo traiamo un sesto insegnamento: mai sentirsi degli eroi e cantare vittoria per aver aiutato una persona bisognosa… non siamo noi i padroni della vita e della morte e i piani di Dio sono sempre molto più alti e più insondabili di quanto sia umanamente pensabile.

Scusate se vi sembriamo diventati improvvisamente guru ad offrire pillole di saggezza a basso prezzo, ma sinceramente rimane una fatica e un amaro in bocca dopo giornate come quelle descritte sopra (e non sono e non saranno le uniche…), per cui sentiamo il bisogno di mettere ordine e di distillare lo spirito buono che sta in ogni cosa, anche la più cattiva! E questo distillato abbiamo pensato di condividerlo con voi, perché i nostri occhi qui siano anche i vostri occhi e il nostro cuore sia in comunione con il vostro.

Beh, per non lasciarvi pensierosi aggiungiamo solo che… noi stiamo bene!! Come avrete capito, qui non è tutto facile (…e dove lo è??) ma siamo contenti della scelta fatta… ormai abbiamo superato i 6 mesi, una malaria, l’uscita delle suore e l’aumento delle nostre responsabilità in missione, l’uscita di Padre Silvano da Namahaca destinato ad altra parrocchia e… tutto bene!! Davvero, ringraziamo il Signore di averci incamminato per questa strada e cerchiamo di percorrerla, tra buche e pozzanghere, nella maniera migliore possibile senza interrare! Speriamo che anche lassù, nell’emisfero boreale, le cose proseguano bene… in questi mesi abbiamo ricevuto da voi notizie più buone e meno buone …vi auguriamo di berne, comunque, il miglior distillato possibile. Siete sempre nel nostro cuore e anche se distanti… estamos juntos!

Siamo stati lunghi, ci dispiace… ma tanto la prossima volta che ci leggerete ve lo sarete già dimenticati!!

Un forte fortissimo abbraccio

Emiliano e Lucia