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Archive for febbraio 2010

Condivisioni quaresimali dal Mozambico.
Buon cammino di avvicinamento alla Pasqua.!
Lu e Emi


Siamo in tempo di Quaresima e in questi primi giorni la Parola di Dio ci parla di “digiuno”… fa un po’ strano parlarne qui, visto che la nostra gente è “abituata” a farlo per tutto il tempo dell’anno…! E allora cerchiamo di capire bene cosa si intende con questa parola. Ci viene in aiuto il Profeta Isaia che chiarisce qual è il digiuno gradito a Dio: rompere le catene dell’ingiustizia, slegare le corde degli schiavi, dare libertà agli oppressi, distruggere i gioghi, condividere il nostro pane con gli affamati, dare riparo ai poveri senza dimora, vestire chi non ha di che coprirsi, non voltare la schiena ai propri simili… eh, certo che se “digiuno” significa questo, forse preferivamo tenerci la nostra cara definizione tradizionale e rinunciare a qualche piatto di pasta e ad una coscetta di pollo ogni tanto!

Ma senza lasciarci spaventare dalla vastità del “programma quaresimale” (e soprattutto dalla nostra inadeguatezza nel realizzarlo), proviamo ad abbozzare una risposta su quale sia il senso delle parole di Isaia e quale il messaggio per noi che stiamo vivendo questa esperienza di missione:

non serve rinunciare al cibo se non per condividerlo con chi non ne ha…

non serve allontanarsi dalla propria terra se non per avvicinarsi alle persone che incontriamo qui…

non serve privarsi di alcune comodità se non per apprezzare maggiormente quanto abbiamo e imparare intelligentemente a farne parte con chi ne è privo…

Il messaggio di Isaia è nel segno di quella logica “lasciare per avere” o “perdere per ottenere” che Gesù e i Profeti e tutta la storia del popolo di Israele insegnano: lasciare la terra della propria famiglia e del proprio lavoro per entrare in una terra nuova indicata da Dio – per Abramo; lasciare il luogo dove si fatica ma almeno si mangia per tornare alla terra promessa da Dio ad Abramo, Isacco e Giacobbe – per Mosè; lasciare la vita terrena per accogliere la Resurrezione offerta dal Padre – per Gesù.

E in mezzo c’è sempre un deserto da attraversare, una incognita da affrontare, una sofferenza da patire… situazioni tutte in cui non sai se e come arriverai dall’altra parte, se avrai il coraggio di muovere il primo passo, di saltare, di entrare e poi se avrai la forza di starci, nel deserto, nell’incertezza, nella sofferenza, ma soprattutto non sai se la tua speranza è abbastanza grande da condurti oltre… non lo sai, non lo puoi sapere prima, non lo puoi calcolare come il peso della valigie da caricare in aereo, non puoi sapere quanto sarà dura e quanto tu sarai forte e non c’è possibilità di saperlo se non sperimentandolo.

Questa logica è veramente terribile per noi che siamo abituati ad attaccarci alle nostre piccole e grandi sicurezze, che abbiamo il continuo desiderio di mettere da parte, conservare, non esporci a rischi. Lo vediamo bene noi qui, in questa nuova realtà, dove il nostro primo desiderio è quello di costruirci nuove sicurezze, di ricreare un angolo di comodità in mezzo a tante difficoltà… ma la gente ci insegna una grande verità con la loro semplice vita di “camponeses”, di contadini; ci insegna a mettere a rischio ogni anno almeno un quarto del loro cibo, fagioli, mais, arachidi, per lanciarli nella terra, lasciarli morire e attendere di vederli un giorno germinare…nel gettare la semente non sanno se arriverà presto la pioggia o se il seme seccherà, o se la pioggia arriverà troppo abbondante e il seme marcirà… l’unica cosa certa è che devono rinunciare a parte del proprio cibo per lanciarlo nella terra, come è certo che per qualche giorno o settimana dovranno sentire i morsi della fame o sentire il pianto dei propri figli affamati senza cedere alla tentazione di usare quella semente messa da parte. Al momento “giusto” la getteranno e la lasceranno morire per sperare di avere altro cibo nella stagione successiva, aspettando con pazienza di veder apparire il primo germoglio, poi la pianticella, poi la spiga o la pannocchia o il fagiolo… in tutto questo è messa a rischio la vita loro e dei loro figli perché se sbagliano il tempo della semina non c’è altra semente e men che meno soldi per comprarne altra… per questo è così sacro e così intriso di riti, religione, superstizione (anche questa sì…) questo momento della semina… il rischio è altissimo e non si può che coltivare, insieme alla terra, anche una grande speranza! È fiducia totale in una promessa di vita che la terra e, attraverso di lei, il Creatore rinnovano ogni anno, ma che ogni anno richiede prima una rinuncia, poi un rischio, poi un’attesa… e infine la gioia e la festa per il nuovo raccolto!

Per noi è difficile sperimentare sulla nostra pelle questa dinamica di povertà-rischio-speranza, perché siamo troppo immersi nella sicurezza e nelle sicurezze (e qualcuno su questo tema della “sicurezza” ci gioca pesante…), c’è sempre un paracadute pronto e se necessario anche uno di scorta… il nostro lanciarci è sempre estremamente protetto e per questo forse non riusciamo a sperimentare forte la presa della mano di Dio, che non vuole la nostra morte, ma la nostra vita e vita in abbondanza! Senza il nostro salto non c’è la Sua presa… non ce n’è, non può che essere così. Esiste solo la dinamica salto-presa, rischio-promessa, rinuncia-Presenza, morte-Vita.

È per questo, crediamo, che i poveri, gli affamati sono davvero beati: prima o poi – ma certamente –saranno saziati. Noi che siamo già sazi, prima o poi – e salutarmente, ci vien da dire – sperimenteremo la fame.

Ma, attenzione, non è che i poveri sono necessariamente beati, perché anche loro (e qui lo vediamo bene) possono attaccarsi al poco che hanno e “sfruttare” la loro condizione per chiedere o, a volte, pretendere… non è questa la logica della speranza. La logica di Dio non ammette altre strade se non quella del rischio.

E d’altronde che altro modo avrebbe Dio di farci sentire la Sua presenza? Se noi siamo già sazi, sicuri, protetti non abbiamo bisogno di Alimento, Verità, Rifugio…

In questa disposizione d’animo, di accettare il rischio, la paura di non farcela, il timore di non avere le forze e la speranza sufficienti e di perdersi nel cammino, ma nella fiducia di sentirLo Presente, vogliamo vivere questa Quaresima e questo inizio di esperienza africana, in cui spesso ci sentiamo incapaci, non all’altezza, disorientati, piccoli, paurosi, inutilmente esposti al rischio, inadatti al dialogo, all’incontro… e chi può dire di non essersi mai sentito così almeno una volta ogni tanto?

Solo accettando di perdere di vista e per lungo tempo le terre conosciute, possiamo sperare di approdare su nuovi lidi” (André Gide)

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